Chi di noi non ha in camper o in casa una bottiglietta di Aceto? Che sia di uva, mele, aromatizzato o meglio ancora un buon aceto balsamico, sicuramente ognuno di noi lo utilizza per condire e preparare le proprie pietanze; ma se ti parlassimo dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena?
Oggi siamo venute nella patria dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena al Museo di Spilamberto nel modenese per saperne di più su questo prodotto.
Tu lo conosci? Noi te lo raccontiamo qui e per abbreviare utilizziamo l’acronimo ABTM.
La storia
Un breve cenno sulla storia di questo prodotto è necessario farla per farti capire fin da quando se ne parla: difficile collocarlo in un’epoca storica ben definita ma è sicuramente centenaria, se non millenaria poiché nel modenese era consuetudine cuocere il mosto d’uva già all’età di Gesù Cristo. Si parla di aceto curativo, per questo definito balsamo. La prima volta che compare l’aggettivo “Balsamico” nel registro delle vendemmie è alla Corte Estense a metà circa del 1700. Alla metà del 1800 circa Francesco Aggazzotti fornisce una lettera indirizzata a Pio Fabriani di Spilamberto contenenti precise indicazioni su come procedere nella produzione dell’Aceto Balsamico Tradizionale, con l’uso del solo mosto cotto.
Come si produce l’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena?
L’uva
Per iniziare ricordiamo che è il Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta a regolamentare tutto il procedimento dei vitigni da utilizzare fino alla etichettatura: quindi le uniche uve da utilizzare sono lambruschi, Ancellotta, Sauvignon, il Trebbiano, per fare qualche nome, ma solo ed esclusivamente uve prodotte nel territorio tradizionale della provincia di Modena.
La pigiatura e la cottura
La raccolta e la pigiatura devono essere soffici, questo per non “danneggiare” gli acini ed eliminare il più possibile le sostanze contenute nelle parti più rigide del grappolo, ad esempio le bucce o i raspi. La pigiatura invece deve essere garbata, meglio se fatta con i piedi.
Il succo d’uva raccolto riposa e deve essere cotto prima che inizi la fermentazione. Il mosto è cotto all’interno di paioli un tempo di rame, oggi di acciaio inox, a fuoco diretto e a cielo aperto, per almeno 8/10 ore fino a 14 e ad una temperatura al massimo di 90°. Durante la cottura il mosto è schiumato per togliere le impurità che affiorano. Tieni conto che dopo la cottura, il mosto si riduce di un terzo.
L’acetificazione e affinamento nelle botti
Questi due procedimenti si svolgono all’interno di barili, botti o tini di legno pregiato: il mosto viene travasato all’interno delle botti. Che legno si usa per fare le botti? Le botti sono fatte di legni importanti come il rovere, il castagno, il gelso e il ginepro. Sono utilizzati anche il ciliegio, la robinia e il frassino. La sequenza dei legni non è obbligatoria. Solo il ginepro è l’unico legno che si caratterizza a livello olfattivo e gustativo maggiormente rispetto gli altri. E’ il più aromatico.
Il legno è molto importante perché consente gli scambi gassosi con l’ambiente esterno e sono indispensabili per permettere al mosto di compiere il processo di trasformazione in ABTM. Il periodo minimo di affinamento è di 12 anni, conteggiati a partire dal momento in cui il mosto viene messo nelle botti. Le operazioni di affinamento ed invecchiamento dell’ABTM avvengono per travaso successivo di mosto cotto in botti di differenti dimensioni che devono essere specificamente numerate e contrassegnate. Inoltre è vietata l’aggiunta di qualsiasi sostanza non prevista nel disciplinare.
Dove si tengono le botti e come sono fatte?
Non è utilizzata una botte sola per trasformare il mosto in Balsamico ma una batteria: infatti l’insieme di botti di varie essenze e diverse capacità a scalare, si chiama proprio batteria. E’ formata da almeno 5 elementi, ma il numero più utilizzato va da 7 a 9. Non sono tutte della stessa forma fino alla più piccola almeno 10 lt, sono di dimensione crescente. Il luogo più idoneo in cui collocare le batterie è (per dirla alla emiliana) al Tasél, ossia il solaio, la soffitta. Infatti, se ci pensi, è l’unico luogo in cui in inverno c’è freddo, in estate c’è caldo per favorire questa alternanza ma con divieto di coibentazione della stessa.
Il miracolo: la fermentazione e la maturazione
Ti abbiamo detto che il mosto cotto è dunque nelle botti e da qui si ha inizio al miracolo: senza aggiunta di nessun elemento esterno, il mosto, che ha una elevata concentrazione di zuccheri, unito alla ossigenazione delle botti, alla temperatura ideale, al tempo, inizia il processo di fermentazione ad opera dei lieviti. Questi ultimi presenti nell’aria, trasformano lo zucchero in alcool etilico e a seguire grazie all’ossigeno, inizia il processo di acetificazione, ottenendo così la parte dolce e acida del prodotto che oggi conosciamo. Questa trasformazione è anche chiamata miracolo, non c’è nulla di meccanico, l’uomo non aggiunge nulla per accelerare il procedimento, ed è proprio durante questa fase così delicata che si formano i primi aromi dell’aceto balsamico. Le stagioni sono importantissimi orologi: in primavera e autunno il balsamico si trasforma, col caldo d’estate rallenta, mentre in inverno col freddo riposa. Tutto avviene spontaneamente.
La maturazione è la fase successiva attraverso gli enzimi liberati nelle botti che trasformano il liquido che diventerà color bruno scuro, e regalerà i profumi e il sapore al prodotto.
L’invecchiamento
Terminati i processi chimici, sempre grazie allo scambio di ossigeno attraverso le botti, inizia la lenta fase detta concentrazione massima del liquido e dove compare l’armonia, cioè l’equilibrio tra la parte dolce e acidula del futuro Aceto. Il processo, il miracolo, si compie nelle botte più piccole della batteria, grazie ai travasi e rincalzi, cioè il trasferimento di aceto dalle botti più grandi alle successive più piccole. La trasformazione del mosto cotto in aceto balsamico avviene con l’attento intervento del custode dalla acetaia, attraverso il rabbocco, i travasi, e l’esame organolettico. E’ un procedimento che deve essere eseguito con estrema attenzione e sapienza, non si può fare senza esperienza e senza sapere misure e accortezze.
Per meglio farti comprendere, parliamo un attimo di numeri: tieni conto che da 1 quintale di uva raccolta, se va bene in 25 anni ottieni appena 2 litri di Aceto, a dire molto.
Il processo che si compie nelle botti più piccole della batteria, grazie ai travasi e rincalzi, non finisce mai; con 25 anni di invecchiamento il Balsamico Tradizionale è definito Extravecchio e raggiunge il massimo delle caratteristiche di tipicità. E’ consentito prelevare un poco di aceto anche dopo 12 anni, in questo caso si definisce Affinato.
La degustazione
All’ingresso del Museo, sei travolto dal profumo che arriva dall’interno: proprio l’olfatto è uno dei 3 sensi che ci permettono di degustarlo. Con l’aspetto visivo guardiamo la densità, il colore e la limpidezza. Per l’olfatto invece deve essere fine, intenso, acido e darci un senso di franchezza, di assenza di difetti, come diremmo in modo molto semplice, “odori strani”. Poi c’è l’assaggio, e qui in bocca abbiamo una esplosione di intensità, di sapore, di armonia, acidità e pienezza dell’Aceto.
La tradizione e il valore dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena:
Ci sarebbe da dire ancora tanto altro riguardo questo miracolo, ma sicuramente possiamo dire che l’ABTM vanta una tradizione familiare importante e radicata nel territorio: almeno 1 modenese su 2 ha una batteria, in solaio. C’è sempre stata una batteria in un solaio e non si può immaginare senza: si nasce con una batteria ed è una presenza costante, è una parte della storia familiare, è un testimone che si passa di generazione in generazione.
Tanto più che faceva parte della dote della giovane promessa sposa e la donna entrava nella nuova famiglia, con almeno una batteria. Oggi questa usanza non c’è più ma se ne ricorda la tradizione.
Alla domanda: quanto costa una batteria? Non c’è una risposta perché è considerato un valore di tradizione, come detto. Certamente avviare una batteria ha un impegno economico che si traduce in acquisto dei barili, la loro sanificazione oppure riparare quelli esistenti, il ferro per nominarne alcuni. Ma l’aspetto più importante è sicuramente il valore di tradizione, la passione che è trasmessa di generazione in generazione, un bene prezioso da custodire.
Parlando di valore, la Associazione culturale volta a custodirne l’antica tradizione, a mantenerla viva, a custodirne la produzione familiare, a divulgare le conoscenze tecniche è la “Consorteria dell’ABTM”. Ha sede presso la Villa Comunale Fabriani, la sede del Museo e ogni anno organizzano la Gara del palio: l’appuntamento fisso per valutare gli aceti delle famiglie e premiare i migliori, non per venderlo ma per premiare la passione, l’orgoglio personale di creare questa punta di diamante delle produzioni tipiche del territorio.
Attenzione però, dobbiamo fare una precisazione che ci sembra doverosa: qui si sta parlando del prodotto D.O.P. e non dell’Aceto Balsamico di Modena I.G.P. Quest’ultimo è infatti un’altra storia, che ti racconteremo.
E in cucina? Come utilizzare l’Aceto Aceto Balsamico Tradizionale di Modena
Sicuramente sul Parmigiano Reggiano poche gocce di Extravecchio regalano un binomio perfetto, su una semplice frittata di cipolle, o sulle fragole, ma anche sul gelato di vaniglia o nocciola.
Si sposa molto bene su tutto ciò che ha una preparazione a base di uovo, come il mascarpone.
Non parliamo poi sulla crema pasticceria: al posto della scorza di limone si aggiunge qualche goccia di balsamico.
L’Affinato invece è indicato sui secondi come gli arrosti.
La nostra conclusione
Ti ricodi come diciamo sempre noi? Un viaggio non è un viaggio senza un po’ di gusto e allora, metti il gusto giusto e parti alla scoperta di questo prodotto speciale!
Ringraziamo per la collaborazione nella stesura del nostro articolo il Museo dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, senza il quale, non avremmo potuto darvi tutte le informazioni corrette.